Ovvero gli abomini del multiculturalismo ad oltranza
Premessa (doverosa e necessaria):
Il presente saggio breve nasce ben prima delle polemiche sul Carnevale multietnico e sul contributo. Non si tratta naturalmente di un attacco verso nessuno, ma di una riflessione (spero raffinata) fatta da chi VERAMENTE studia il Carnevale ed il folklore a livello professionale. Siamo infatti noi antropologi coloro che, di formazione, si interessano di usanze, di tradizioni, ed anche di cultura in senso lato e, naturalmente, di integrazione. Mi sembrava quindi doveroso, nel mio spazio personale, esprimere la mia opinione come "addetto ai lavori".
Anche perché questo "case-study" lo porterò anche nelle mie prossime conferenze di Antropologia del turismo alla Scuola Made di Lucca.
[Il sottotitolo - nota per i non addetti ai lavori - fa riferimento al bellissimo saggio di Mary Douglas "Gli abomini del Levitico" inserito nel libro Purezza e pericolo].
Introduzione - Siamo ormai entrati nel pieno del periodo di Carnevale. Tra poco, dove non l'hanno già fatto, le maschere prenderanno il possesso delle città, nel classico periodo di “caos” che contraddistingue i festeggiamenti carnascialeschi. Carnevale, come è noto, deriva dalle cosiddette Feste dei folli medioevali, ottimamente descritte dal romanzo Notre dame de Paris di Victor Hugo, e la sua etimologia è da ricondurre a “carnem levare”, ovvero al “togliere la carne” che contraddistingue i periodi di Quaresima.
Tempi grassi, tempi magri
La società tradizionale era, non dimentichiamolo, contraddistinta da un calendario ben preciso, con giorni di marca e periodi “grassi” a cui si alternavano periodi “magri”, dove il consumo di carne era vietato (la Quaresima pasquale, infatti, non era l’unico periodo di astinenza). Proprio su questo concetto nasce il dibattito sull’effettivo inizio di Carnevale e dei conseguenti tempi grassi. Tutti infatti sanno quando finisce Carnevale, ovvero la settimana definita “grassa” che parte con il mercoledì precedente quello delle Ceneri, data di inizio della Quaresima. E’ in questo periodo che si concentrano i festeggiamenti, a Domodossola come in altre zone (l’unica eccezione sono i carnevali che seguono il rito Ambrosiano, che prolungano la festa per una settimana).
Partiamo dal presupposto che Carnevale è una festa lunare, quindi mobile, come Pasqua, da cui effettivamente dipende, ma si colloca subito dopo una festa fissa, ovvero Natale ed il cosiddetto periodo “dei 12 giorni”, dove si concentrano le feste solstiziali e solari. La “grassezza” del Carnevale è da ricollegarsi ai cibi che si consumano, a base di maiale (i salamini sono il simbolo, insieme alla polenta, del carnevale domese) ed è quindi strettamente legata, secondo diversi studiosi di tradizioni, tra cui il rettore dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, prof Piercarlo Grimaldi, alla sua macellazione che, come si sa, è legata alla figura di sant’Antonio abate, festeggiato il 17 gennaio.
Questa data, pertanto, può rappresentare l’inizio del Carnevale, che alcuni anticipano al 7 gennaio, proprio per l’economia alimentare: si macella il maiale, di cui “non si butta via niente”, e si consumano subito le parti che si deteriorano più facilmente, preparando ad esempio la torta di sangue.
La serietà del Carnevale
Oggi Carnevale è la festa dei bambini, che si divertono a mascherarsi. In origine però il Carnevale, con le ritualità che lo accompagnavano (i polentonissimi o le fagiolate per i poveri, i matrimoni tra le maschere, simbologie importanti, o l’esecuzione del Carnevale che legge il suo testamento satirico) era qualcosa di molto serio, a cui i più piccoli potevano solamente accostarsi, ma non esserne protagonisti. L'orso di Mompantero, il matrimonio di Togn e Cia a Domodossola, Re Lupo e la sua corte a Vogogna piuttosto che i carri satirici di Viareggio o la battaglia delle arance di Ivrea sono tutti riti comunitari molto importanti, da cui i bambini, in origine, erano esclusi.
Tra l’altro si tratta di una ritualità tipica dei paesi cattolici: negli Stati Uniti il sovvertimento dell’ordine ed il camuffarsi è stato trasferito ad un’altra festa, di origine europea, trapiantata in Usa ed oggi ritornata prepotentemente anche il Italia, ovvero Halloween.
Il Carnevale “multietnico”?
Domodossola, da alcuni anni festeggia il Carnevale multietnico, nato dalla volontà dell’assessore Salvatore Iacopino per integrare le diverse comunità. Un’iniziativa che però porta con sé delle problematiche molto serie, soprattutto nell’ambito dell’integrazione e del rispetto dell’alterità. “Imporre” una festa strettamente religiosa quale il Carnevale a società che non hanno questo sovvertimento dell’ordine nella loro cultura risulta infatti fortemente “globalizzante”, utilizzando la peggiore accezione del termine. In questo caso, a dispetto del nome, non c’è multiculturalismo, non ci sono rappresentazioni delle diverse tradizioni, ma si assiste, semanticamente, ad una imposizione di una cultura egemone. D’altra parte, chi è stato bambino anche solo qualche decennio fa, ricorderà che tra i travestimenti più in voga tra i piccoli c’erano l’indiano (inteso come nativo americano), l’arabo, piuttosto che il selvaggio (e lo stereotipo lo vedeva con la pelle nera e, magari, il gonnellino di paglia o meglio di banane) o l’eschimese (che di per sé è un dispregiativo che significa “mangiatore di carne cruda”), per non parlare del cinese con cappello a cono e treccina nera (posticcia) che spunta dalla nuca. Rappresentazioni stereotipate di minoranze etniche, di quell'esotismo ieri appena accennato (in origine i vu cumprà erano tutti "marocchini" indipendentemente dalla loro provenienza geografia, come è rimasto anche nel linguaggio, soprattutto degli anziani) , e che oggi, con il flusso globale di migrazioni e profughi (l'ethnoscape di Appaduraj) stiamo conoscendo e con cui ci stiamo quotidianamente raffrontando (se non addirittura scontrando).
L’importanza del vestito
In questi giorni ha fatto anche molta polemica la vendita, tramite Amazon, di completi “da piccolo profugo”. Una traduzione non propriamente accurata (in realtà guardando le foto sembra trattarsi di costumi da migrante, per intenderci molto simili a quelli del Titanic) ha scatenato molte polemiche proprio perché, oggi, Carnevale, oltre che ad essere il sovvertimento dell’ordine, ha perso la sua “sacralità” a discapito di un concetto quasi da presa in giro. “E’ una carnevalata” è diventato sinonimo di qualcosa di divertente e poco serio per definizione. E proprio per questo bisogna stare molto attenti al potere, paradossale, di questa festa. Portare il vestito tipico (quello nera della festa, tipicamente ossolano o alpino piuttosto che quello multicolore delle tradizioni africane o il sari hindu) in questo ambito rischia di depotenziarlo. Le Donne del Parco Valgrande, ad esempio, Rosalia Zaccheo e le altre componenti del gruppo hanno fatto un’opera importantissima di valorizzazione e recupero, lo portano solo nelle occasioni “ufficiali”, meglio se collegate a qualche ritualità. Ma mai a Carnevale. Perché il rischio che il costume tradizionale diventi “stranezza”, particolarità ed eponimo dell’“esoticità” che cerchiamo, come persona e come turisti, è reale.
Pertanto, invece che fare un Carnevale multietnico, non sarebbe forse stata cosa migliore fare una semplice festa, laica, multietnica, dove ogni comunità poteva mettere in mostra le proprie peculiarità senza il rischio di essere derisa?
Perché, come dico sempre, il mutliculturalismo cieco ad oltranza, quello senza basi teoriche ma fatto in nome del politically correct, rischia, in questo caso come in molti altri, di fare più danni che altro.
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Massimo di Bari (lunedì, 08 febbraio 2016 10:19)
Premesso che apprezzo moltissimo il lavoro di studiosi e ricercatori che ci aiutano a tenere viva la memoria delle tante tradizioni che caratterizzano i vari territori italiani, rispetto al contenuto di questo articolo mi permetto di chiederti alcune cose:
1) usi il verbo "imporre" e il sostantivo "imposizione": ma ti risulta che qualcuno sia stato obbligato a fare alcunché?
2) a quali società ti riferisci quando affermi che "non hanno questo sovvertimento dell’ordine nella loro cultura"?
3) mi spieghi quali sarebbero state le "rappresentazioni stereotipate di minoranze etniche"?
4) cosa c'è di tanto pericoloso nell'aver cercato di arricchire il calendario del carnevale domese con una festa "multietnica" in dono al Togn e alla Cia, con l'intenzione di offrire uno spaccato odierno della società domese che vede la presenza di persone che arrivano da varie parti del mondo?
Da profano mi risulta che le varie tradizioni siano frutto di elaborazioni continue di usi e costumi e, quindi, anche di trasformazioni, contaminazioni, ecc. Ma non mi avventuro su terreni che non sono i miei.
Attendo tue risposte. Grazie!